La
tigre e la neve
Questo film nasce dal desiderio di
fare questo film. Non c’è stata nessuna idea all’origine, ma solo un
sentimento.
I protagonisti sono portati dal
sentimento, che è la forza più bella del mondo, la più eversiva e la più
rivoluzionaria.
Nasce dal desiderio di fare un film
candido come la neve e furioso come la tigre. Dal sentimento di un uomo
innamorato da morire, ma proprio da morire, di una donna che non lo vuole,
ma proprio non lo vuole.
Un uomo buffo, stravagante e
sensibile che di mestiere fa il poeta e passa la sua vita a cercare di
mettere le parole in un modo che se gli batte il cuore a lui lo deve far
battere anche a chi lo ascolta.
Solo che non riesce a farlo battere
a quella donna che gli piace da morire: la segue dappertutto e le parla
dappertutto, vorrebbe passare ogni giorno con lei e dormire ogni notte con
lei, si mette in mutande, la insegue in mutande, la ossessiona ogni
momento per cercare di trasmettere il suo amore, la sua voglia di vivere.
Una voglia di vivere che gli fa scrivere poesie su qualsiasi cosa veda,
per il semplice fatto che c’è ed esiste. Una voglia di vivere che gli
fa dire che lui anche da morto si ricorderà sempre di quand’era
vivo”.
"La tigre e la neve",
ambientata nel 2003, in cui, il Premio Oscar Roberto Benigni, veste i
panni del poeta Attilio, docente di poesia in una università per
stranieri a Roma, follemente innamorato di Vittoria, impegnata nella
stesura della biografia di un importante poeta iracheno, e che non esita a
seguire fino a Baghdad, mischiandosi con i medici della Croce Rossa, nel
giorno in cui viene a sapere che si trova, moribonda, in un ospedale del
posto, vittima di un trauma cranico subìto durante uno dei primi
bombardamenti angloamericani.
Affiancato
da Jean Reno, Giuseppe Battiston e dall’immancabile compagna di vita
Nicoletta Braschi, il Robertaccio nazionale, tra surreali sequenze
oniriche ed i suoi immancabili sketches comici da antologia, affronta
questa volta il tema della poesia, per mezzo di una pellicola musicata
ancora una volta dal Premio Oscar Nicola Piovani, ma che apre sulle note
di "You can never hold back spring" di Tom Waits.
Sempre meno toscanaccio e
maggiormente rivolto ad assumere a tutti i costi i connotati artistici del
Charlie Chaplin italiano, l’attore-regista ci propone una vicenda
dolce-amara sì godibile, ma in cui ci fa ridere meno del solito, in
quanto sembra ora impegnarsi forzatamente per far sì che le sue pellicole
raggiungano lo status di film d’autore.
Quindi, i momenti
esilaranti non sembrano altro che pseudo-remake di quelli sfruttati in
"La vita è bella" (1998), titolo in cui lo scenario bellico
aveva pienamente senso, perché si proponeva come originale sbeffeggio nei
confronti delle atrocità naziste.
Qui,
invece, il contesto iracheno è del tutto irrilevante, sembra inserito
esclusivamente per far sì che "La tigre e la neve" assumesse le
fattezze di opera socialmente impegnata.
Ma cosa sarebbe cambiato, dal punto
di vista della storia d’amore, se la povera Vittoria, anziché trovarsi
in un ospedale di Baghdad, fosse stata messa in uno italiano? Per quale
motivo, almeno in Italia, molti registi, quando affrontano tematiche
romantiche, sembrano spinti ad inserirvi almeno un minimo di sottotesto
socialmente impegnato, in quanto intimoriti dal vedere il proprio film
bollato dalla critica nostrana come il “solito” prodotto melenso e
buonista?
By
Anna Clabber3616
|