L’ora
delle rondini Scendo
dal letto che tutti sognano, entro
nell’ora delle rondini. Alla
prima carezza di luce, a
centinaia pungono l’aria sottile con
ali a mezzaluna e strilli
affilati. Inseguono piccoli
insetti da poco destati, s’aggrappano
ai muri delle case di
pietra, mattoni scuri d’un
buongiorno alato e vibrante. Io
getto in mezzo alle rondini il
mio grazie silenzioso. Gratitudine
per
la brezza che scende dai monti e
respinge le fiamme di luglio, per
la luce che dipinge il mio lavoro, per
i passi senza suono dell’ora
così giovane. Cammino,
tra le case addormentate. E’
il paese dove vivo e
respiro la pace dell’assenza di
rumore. Allora, nella
quiete sento le
parole lavorare, avverto la
gioia del comporre, del far danzare dita
e penna insieme. Storie
e poesie e interi romanzi di
battaglie e grandi amori prendono fuoco
dentro al cuore, attizzati dal
silenzio e dalla calma del
giorno che apre gli occhi. Più
verdi sono le piante, più delicate
le foglie e profumati di
colore i fiori. Le
strade d’asfalto fan meno paura, invitanti
sono i sentieri morbidi di
rugiada e d’erba imbottiti. Non
c’è violenza a colpire gli
occhi ma solo vita ch’io vedo vera, assopita,
languida di tepore e
leggerezza e gesti semplici, senz’ansia. Ma
è incanto che dura poco. Con
fragore di sbadigli, il paese lascia
il letto e si raddrizza, s’aprono porte
e finestre, scope grattano polvere
e bambini gridano e
le auto si fan predoni. Allora
mi ritiro, silenzioso
come all’apparire. Mi
rifugio nel mio spazio, con le
cose di sempre e le foto dei
miei campi lontani. Lì
dentro è
sempre mattino presto. Lì
dentro è
sempre cielo di rondini e musica di merli. Le
grosse tende fingono la luce dell’alba e ritrovo il mio agire col medesimo ritmo. |