In questo capolavoro di emozioni, sia il testo che la melodia sprigionano la forza con cui l’autore grida a se stesso il dolore per una storia finita, mescolando attimi di vita quotidiana e ricordi personali e familiari.
Claudio lascia spazio a questo sfogo delirante di notte, nella “notte” della sua vita, mentre, rimasto solo, corre senza meta in auto, “logorando strade” e mentre“le finestre occhi spenti stanno già sognando” ; la storia sembra ambientata in una Roma deserta, in un luogo vivo ed affollato di giorno, ma solitario e triste quando cala il sole: “mulinelli di cartacce e panchine vuote”, o forse soltanto gli avvenimenti si snocciolano l’uno dietro l’altro nel cuore vuoto dell’autore, in cui la fine dell’amore ha lasciato soltanto sofferenza e solitudine. Compare, nel continuo susseguirsi di ricordi, l’ombra di una lei che é andata via e, subito dopo, l’immagine di un Claudio disperato che ripercorre gli attimi in cui ha sofferto con lei e per lei, in un incalzare di sensazioni forti, di emozioni accompagnate da un dolore struggente, che non gli concede un attimo di pace. Il racconto non prosegue lineare, ma appaiono squarci di realtà che affollano la mente, un rincorrersi di ricordi scioccanti della propria esistenza, come “quando i miei si vomitavano parole ed allora mi mandavano a giocare fuori”, come quando da bambino urlava sul cavallo del barbiere; ma ecco un “amico”, forse anche una immagine di un se stesso diverso, é un “amico che gli vuole bene, solo anche lui, rassegnato alla propria solitudine, ma vivo nell’affetto che prova per Claudio; sembra un suo compagno di vita, un angelo custode che gli è sempre accanto, che l’autore ritrova quando crede di essere rimasto veramente solo. E poi, ecco che incalza la paura di guardarsi riflesso in una vetrina, di guardarsi dentro, quasi a voler nascondere a sè il proprio IO, del quale si potrebbe anche ridere, in un’amara derisione di una faccia e di un pensiero che non piacciono; ma, per distogliere l’attenzione da questo Claudio sofferente, ecco il ricordo della “grande prima eccezionale per il film dell’anno”; l’autore ha sempre confessato di amare, sin da giovanissimmo, il cinema, quel mondo di fantasia che lo faceva viaggiare con la mente; quindi, non poteva mancare un accenno a questa sua grande passione, donando un momento di serenità al racconto . Ritorna anche questa volta il tema sofferto della miopia e riaffiorano i ricordi dei giorni di scuola, in cui l’incomprensione da parte dei compagni sembra essere, per lui, ancora motivo di cupo dolore: “non avrei voluto essere il primo della classe, non avrei voluto mai portare i miei primi occhiali”. E poi Claudio rivolge l’attenzione su se stesso disperato; é spossato dai “mozziconi di tutta una vita”, cade in profonda depressione ; non riesce ad avere più alcuna volontà e sembra che il tempo scivoli su di lui, senza stimoli e motivazioni, in un torpore che lo trascina, facendolo girare, saltare e ballare come un orso ammaestrato”, per poi lasciare finalmente spazio alla rabbia, a quella “sana” rabbia che lo rende di nuovo vivo e che lo porta al punto di voler “fare a pezzi quella luna idiota”, quella stessa luna che illumina ogni storia d’amore. Ed ecco Claudio sfogare amaramente la sua sconfitta, urlare quella rassegnazione che lo pervade, rinfacciare quella rabbia che gli fa scoppiare il cuore, in un unico canto disperato per lei: “quante volte ti ho pregato mentre mi graffiavi il cuore quante volte ti ho guardato mentre mi cavavi gli occhi quante volte ti ho cercato quante volte ti ho trovato” ... poi, sfinito, prende coscienza di averla persa, forse per sempre, ed in un urlo malinconico le grida ... “quante volte ho perso te...”. |