QUEI  DUE
 

 

 

      

Disegno di Emanuela Resta

Recensione di Stefania Scarpulla

Elegantissima musica dai toni latino-americani; testo sottilmente evocativo di immagini d’altri tempi. Questa è “Quei due”, brano inserito nell’opera musicale “L’uomo della storia accanto”.

È la storia di una coppia, seduta ad un tavolino di un ristorante o di un caffè.

Cosa accade? Che succede fra di loro? È una vera e propria cronaca, in cui si descrive il comportamento dei due, che sin dall’inizio sembrano essere degli estranei seduti, per caso, l’uno accanto all’altro.

I loro sguardi non si incrociano mai.

Lui parla poco ed anche lei “ogni tanto si versa una parola”.

Lui guarda l’orologio mentre il tempo passa fra di loro e spazza via ogni sentimento.

L’unico  momento di contatto è una carezza “col dorso di una mano”.

Lei a mento in su, con il capo rivolto da un’altra parte, lui a testa in giù sconfitto. È questa l’immagine più evocativa della storia: quei due che non si guardano, le cui vite camminano parallele l’una di fianco all’altra, ma senza incontrarsi.

Ogni immagine sembra riflessa in uno specchio, ogni gesto conferma la distanza che c’è fra quei due, un tempo innamorati, ora freddi estranei che vivono realtà differenti.

Sembrano non conoscersi o non riconoscersi. L’amore li ha voluti vicini, il caso li tiene ancora insieme, senza un perché.

I brividi che sconvolgono i corpi ed i fremiti che danno nuova vita alle anime sono solo un ricordo sbiadito per quei due, ora così distanti ed assenti.

Ora quei brividi e quei fremiti non ci sono più.

Non si intravede un progressivo distacco fra loro; non si avvertono tensioni. Vediamo, riflessi nello specchio, solo dei fermi immagine, in cui si coglie l’attuale lontananza delle vite dei protagonisti, la totale assenza di emozioni, la completa estraneità, l’uno nei confronti dell’altro.

Solo quella carezza fa intendere che li aveva uniti un sentimento, un amore , un’intimità che si è andata affievolendo lentamente, senza che i due protagonisti se ne siano accorti.

Solo ora sembrano prenderne coscienza, ora che non hanno più niente da dirsi. 

È inutile cercarsi e rimanere insieme, quando l’emozione della passione non c’è più, quando il vuoto del niente non riesce più a farci amare chi ci è accanto. Meglio lasciarsi che vivere nel totale disincanto, nell’aspra aridità di un affetto che manca, di una passione che non travolge più i corpi e l’anima.

E poi mancano le parole, manca quel dialogo che avrebbe potuto riavvicinare quei due. Il silenzio li allontana sempre più, mentre l’immagine dei loro volti diventa sempre più nitida.

Chi sono quei due così soli con se stessi?

“E rendersi conto che siamo noi due”: ecco l’amara confessione dell’autore. Quei due sono lui e la sua donna, riflessi nello specchio di una coscienza che, talvolta, si preferisce oscurare per non farsi del male. Quei due, tanto distanti, sono il pallido ricordo di un amore finito, di una grande passione che il tempo è riuscito a cancellare, rendendoli aridi e silenziosi, arroccati sulle proprie posizioni, ciechi davanti ad una carezza che, forse, poteva essere la scusa per riportare alla mente emozioni forse mai dimenticate.