Brevissimo testo in dialetto romanesco. Appare ai nostri giorni attualissimo. “Fijo fijo mio”: Tale appellativo, nell’antica Roma popolare, si dava non solo ai figli propri, ma anche ai giovani inesperti, ai quali gli anziani si sentivano in dovere di dare consigli. Si vuole dare l’impressione di una storia scritta effettivamente all’epoca di Sisto V, in una Roma papale, dove il popolo viveva con il terrore di finire sotto il giogo del Santo Uffizio. A quei tempi il Papa non era soltanto il rappresentante di Dio in terra; era soprattutto il monarca assoluto su tutto lo Stato Pontificio. Il suo dominio si estendeva dal Lazio all’Emilia, attraversando l’Umbria e le Marche. Durante il Pontificato di Sisto V fu annesso anche il Ducato ferrarese. La capitale di questo stato era ovviamente Roma. Sisto V fu Papa nel ‘500. Promosse inizialmente la bonifica dell’Agro Pontino, ma, accecato dal desiderio di magnificenza, si occupò soprattutto di opere edilizie: per aumentare la grandezza della capitale, abbandonando pian piano le terre ad un terribile degrado. Roma, luogo di sprechi e lussi smodati, strideva con lo stato di povertà della popolazione nelle province. Il popolo moriva di fame e le carestie erano molto frequenti. La povertà generava un malcontento diffuso, che spesso sfociava in rivolte, capitanate dai briganti. Il banditismo raggiunse, nello Stato Pontificio, gravissime proporzioni. Sisto V fu eletto in un periodo di difficile ordine pubblico. Si macchiò di azioni sanguinarie, per reprimere le numerose rivolte dei contadini, spalleggiati dalla nobiltà che rivendicava diritti non riconosciuti dalla Curia romana. La repressione fu terribile. Il terrore era diffuso. Sisto V promosse il nascere delle congregazioni, a capo delle quali pose cardinali di propria fiducia. Tali congregazioni avevano, come scopo, il controllo politico del popolo e la repressione di qualunque atto di ribellione. A questo fa riferimento Claudio Baglioni nella sua canzone: a questo clima di terrore e di repressione. Negli ultimi versi, l’autore esprime una preghiera, in cui chiede a Dio un Papa migliore, uno che non ami il fuoco, che non usi la repressione; bensì uno che ami molto, che preghi tanto e … che viva poco! Aldilà dei desideri del popolo romano all’epoca di Sisto V; anche ai nostri giorni abbiamo vissuto l’incertezza dell’elezione di un nuovo Papa: dopo la morte di Giovanni Paolo II. Anche se questa preghiera non si riferisce alla società del ventunesimo secolo, molti di noi hanno rivolto lo stesso genere di invocazione a Dio, chiedendogli un Papa buono, aperto ai giovani, in grado di proseguire l’opera di Karol Vojtyla. Il nome del cardinale Joseph Ratzinger creava una certa, ed infondata, preoccupazione. Egli, dal 1981, ha rivestito l’incarico di Prefetto della Congregazione per la Dottrina della Fede (ex Santo Uffizio). Da qui nasceva la paura di molti fedeli. Si temeva che, se fosse stato eletto Papa, avrebbe fatto ritornare la Chiesa alla chiusura degli anni bui del passato. Ma così non è stato. Joseph Ratzinger è stato eletto Papa il pomeriggio del 19 aprile 2005. È stato accolto come un grande Pontefice e, da quel giorno, ha dato di sé una immagine di grande serenità e di grande apertura, ma anche di salda fermezza sui principi della Dottrina Cattolica. O Signore, ti ringraziamo, perché ci hai dato Benedetto XVI. Ci hai dato un Papa al quale non piace il fuoco, ma uno che ama molto, che prega tanto e che … speriamo viva a lungo! |