Intervista del 15 Settembre 2005 Fonte Secolo XIV
BAGLIONI:
«CANTO A
Lampedusa un festival con Venditti, Antonacci, D'Alessio e altri. «Siamo
lontani dalla tv, suoniamo per il piacere di farlo» di
Renato Tortarolo Baglioni,
fra qualche giorno, dal 23 al 25 settembre, lei tornerà a Lampedusa per
cantare il fenomeno dell'immigrazione. Ma la musica può fermare
l'indifferenza o gli sbarchi clandestini? «No,
contro le tragedie del mare la musica non può fare nulla, ma la notorietà
dei cantanti almeno può fare riflettere. E fare in modo che certe notizie
non vengano rimosse, che non facciano parte di quel blob che ogni giorno
ci trapana il cervello. Come artisti non abbiamo soluzioni, ma come uomini
le dobbiamo cercare. Personalmente, poi, a Lampedusa conosco colleghi che
non avevo mai incontrato prima». Quest'anno
"O' Scià" ospiterà fra gli altri Venditti, Antonacci,
D'Alessio, Grignani, Masini, Morgan e Tiromancino. Non mi dirà che non li
conosce? «Pensavo
a a Nek e Venuti l'anno scorso o a Finardi che non vedevo da anni, ma il
discorso è un altro: a Lampedusa siamo lontani dalle trasmissioni
televisive o dai festival, e suonando per il piacere di farlo, perdipiù
per una buona causa come la tolleranza, capisci che la musica è davvero
un ponte, una specie di fune che viene tirata senza fare gare. E la gente,
quella che può radunarsi sulla spiaggia, più o meno diecimila persone,
lo intuisce». Perché
tre anni fa ha scelto Lampedusa per un festival-laboratorio
sull'immigrazione? «Perché
quell'isola rappresenta uno dei principali sbarchi della disperazione, e
questo discorso del movimento dei popoli e dell'emigrazione è irrisolto.
In fondo nessuno ha ancora trovato la soluzione. Si spera che le cose si
sistemino da sole. Invece noi vogliamo rispondere alla diffidenza con la
fiducia nell'incontro». Lo
ha fatto anche Live 8 e lo farà la raccolta di fondi per le vittime di
Katrina: non è un impegno troppo forte per la musica? «Effettivamente
bisogna stare attenti a non caricarsi di imprese messianiche, a non
cercare di fare i Mosé: non dobbiamo attraversare l'umanità intera per
raggiungere una terra promessa. Spero che nessuno di noi abbia questo tipo
di ambizioni o velleità. Anzi, questi eventi ormai hanno esaurito la loro
carica, forse perché sono così grandi da schiacciare la causa che
rappresentano. Un Live Aid ogni vent'anni è persino troppo e raccogliere
fondi non serve, perché nel mondo i soldi per risolvere le tragedie
umanitarie ci sono già, tutti impilati in poche tasche e questa è la
vera ingiustizia». La
risposta è l'impegno di pochi come nel suo festival? «E'
nell'impegno capillare, nel fare bene una cosa per volta e parlare davvero
alla gente che ti ascolta perché sei un personaggio pubblico. Non so se
quest'anno, a Lampedusa, affronteremo un tema particolare: la gente viene
ad ascoltarci anche durante le prove e non c'è una divisione netta fra
prove e concerti, è piuttosto uno scambio continuo, e libero, di
emozioni. L'anno scorso abbiamo fatto un omaggio a Domenico Modugno perché
si è spento proprio lì. Ma "O' Scià" non deve avere un tema,
non è un convegno, è invece l'invito a comprendersi di più, a superare
tutte le barriere che alziamo, giorno per giorno, fra noi e gli altri, non
necessariamente extracomunitari». Fra
le sue canzoni, quale rappresenta meglio il momento che stiamo vivendo? «Ce
n'è una che ho cantato qualche giorno fa in un'occasione un po' strana,
perché ero lì come architetto e si parlava dell'uso dei teatri di
pietra, dei teatri antichi e di musica popolare. A un certo punto ho fatto
un piccolissimo concerto e ho cantato una canzone poco conosciuta, si
chiama "Pace" ma non è esattamente sulla pace come la
intendiamo di solito, ovvero contrapposizione della guerra. E' piuttosto
sulla condizione di pace interiore, che è il vero problema dei nostri
tempi: ciascuno di noi sogna di essere in pace con se stesso e avere la
possibilità di spalancare le braccia al prossimo. Magari non lo sa, o
evita di ammetterlo, ma è così. Penso che questa sia la grande
scommessa: tra l'Africa che muore di fame, le tensioni nel mondo, il
terrorismo, le guerre c'è un comune denominatore ed è che il mondo deve
essere veramente cambiato, ma siccome non cambia da solo devono cambiare
gli uomini». |