INTERVISTA SENTIMENTALE / CLAUDIO BAGLIONI

Architetto di emozioni

La musica. Il successo. La laurea recente. Ma anche la depressione e la paura della morte. Il cantautore romano traccia il bilancio dei suoi primi cinquant'anni

di Stefania Rossini

Claudio Baglioni è il cinquantenne che ti aspetti. Cordiale, composto e professionale. Accetta la routine di un'intervista senza slanci né riluttanze, mentre il fatto che si parlerà di sentimenti gli sembra un atto dovuto. Sono trent'anni che risponde su di sé, su quel piccolo grande amore che, nel bene e nel male, gli ha segnato la vita, su quella maglietta fina che forse sarebbe stato meglio che non facesse immaginare tutto. Perché, per quei versi indovinati e fortunati che l'hanno reso celebre e miliardario, Baglioni paga uno scotto interminabile. Ancora oggi, dopo le trasformazioni del gusto e del tempo, il suo pubblico si divide esattamente in due parti. Quelli che lo hanno fissato nella memoria come l'autore di una sola canzone, sia pure tanto riuscita da fare da colonna sonora a una generazione, e quelli che lo seguono nella sua evoluzione, nelle assenze e nei ritorni alla ribalta, con una continuità e una fedeltà che quasi lo imbarazzano.

L'ha mai guardato in faccia quel suo pubblico devoto?

"Lo guardo sempre e spesso trovo le stesse facce. Sono persone che non si sono stancate di vivere come ragazzi, cinquantenni che stanno dietro le transenne o sotto il palco a urlare come se avessero 18 anni".

Questo non la inquieta un po'?

"No, mi fa sperare che il tempo non faccia danni, che si riesca a non diventare mai del tutto vecchi".

Non le manca la presenza dei giovani?

"Ci sono anche loro e sempre più numerosi. Magari all'inizio hanno tre o quattro anni e sono portati in braccio da padri e, ahimè, ormai pure da nonni, contro ogni loro volontà. Poi tornano anche da adolescenti, forse per non ferire i genitori. Ma quando li vedo a vent'anni, so che ormai li ho conquistati. Come, non me lo chieda".

Perché no? Non si interroga sul suo lavoro?

"Fin troppo e ancora non lo capisco. Il mio è uno strano mestiere che non è mai diventato completamente un lavoro. Certe volte penso che non ho fatto niente per meritarmi il successo, che tutto viene da un grande abbaglio collettivo, come quando un'intera platea si alza per applaudire un cantante lirico nonostante abbia stonato platealmente".

Milioni di dischi venduti, centinaia di migliaia di persone ai suoi concerti e lei, Baglioni, ha problemi di autostima?

"Sì, ce l'ho. Sporadici o, meglio, ciclici, ma li conosco bene. Ho grandi ritiri dove mi chiudo in me stesso a chiedermi chi sono e cosa ho fatto finora".

Una volta chiamò questi momenti 'il male di me'. C'è chi li chiama depressione.

"Ho usato parole poetiche, ma il vero nome è quello. Ora va meglio, ma ho avuto anni di feroce depressione, quasi sempre in prossimità di momenti creativi. Pensavo di aver già detto e scritto tutto. Scendevo nella mia personale Fossa delle Marianne e ci stavo un po'".

Come ne risaliva?

"Da solo. Grattando il barile finché non lo scrostavo completamente. Non ho mai voluto l'aiuto di uno psicoanalista. Mi convincevo dicendomi: ci sono persone che mi seguono e mi apprezzano da 35 anni. Forse hanno ragione loro".

Lei gira sempre intorno al tema del tempo: le età della vita, il vecchio e il nuovo, le strazianti canzoni sulla decadenza fisica. È questo il suo assillo?

"Da sempre. Credo di essere cresciuto subendo il potere del tempo. Quando avevo otto o nove anni, in famiglia si ascoltava la radio e ogni volta, sentendo la sigla di 'Radiosera', cominciavo a piangere senza sapere perché".

Poi lo ha saputo?

"Molto più tardi ho capito. Era una musica dolorosa perché mi dava l'idea della ritirata: è finita la luce, sono finiti i giochi...".

Sta scivolando sul tema della morte?

"Perché no? La vita è un'ingiustizia clamorosa. Ti fa fare mille prove e quando pensi di averle superate, ti trovi ad assumere la condizione di vecchio. Sei lì a chiederti solo quanto manca. Ogni tanto vai a vedere sotto la lattina qual è il giorno della scadenza. Non lo trovi, ma sai che è comunque prossimo".

Bella immagine, ma direi di fermarci. Lei ha 53 anni e qualche decennio davanti.

"Infatti, io so di essere ancora al centro della vita e sono sempre eccitato per il tempo che verrà. Altrimenti come mi sarebbe venuto in mente di laurearmi in architettura alla mia età?".

Già, come le è venuto in mente di diventare architetto? Non le bastava essere Baglioni?

"Non mi bastava, come avrà capito finora. Negli anni scorsi io andavo ogni tanto a parlare nelle università, cosa che capita a molti personaggi famosi. Ma mi sentivo strano, mi sembrava di essere come Marilyn Monroe quando andava in Cambogia a visitare le truppe. Bastava che desse un bacio a una recluta e pareva che avesse fatto la guerra".

Che vuol dire?

"Che non ero uno di loro, che li toccavo soltanto, ma ero rimasto fuori dalla porta di saperi importanti che pure mi avevano sempre affascinato: il restauro architettonico, il recupero di zone urbane. Mi sentivo incompiuto. Poi un preside ha capito il mio desiderio e mi ha convinto a riprendere gli esami. La laurea mi ha dato un riscatto personale".

Ancora? Ma da che cosa doveva riscattarsi?

"Non lo so, dalla mia incompiutezza, dagli studi interrotti. Sembrerà strano, ma le assicuro che da quando mi sono laureato mi giungono attenzioni che prima non mi sognavo nemmeno. Ora mi arrivano lettere con scritto 'all'architetto', prima c'era solo 'al signor'. Vuole sapere su cosa ho fatto la tesi?".

Sull'area del Gazometro a Roma, se ne è molto parlato.

"Ma non ne sa il motivo. Il Gazometro, il monumento più alto di Roma dopo la cupola di San Pietro, ha radici nella mia infanzia. Quando andavamo al mare a Ostia, passavamo sempre di lì e ogni volta alle mie domande stupite, mio padre rispondeva che quello era un cilindro magico dove il gas era tenuto prigioniero".

Quel riscatto riguarda anche la sua famiglia?

"Forse sì. I miei si erano trasferiti a Roma da un paese dell'Umbria, dove facevano i contadini quando la terra non dava più niente. Erano animati da una gran voglia di migliorarsi. Mio padre fece la leva con i carabinieri e restò nell'Arma come sottufficiale. Ora è morto, ha visto per tanti anni i miei successi, ma gli sarebbe piaciuto vedermi architetto".

È vero che vorrebbe fare lei i lavori di restauro della zona del Gazometro?

"Non esageriamo, mi sono laureato appena tre mesi fa! Certo, non mi dispiacerebbe partecipare a un lavoro di gruppo. Ho delle buone idee a proposito. Ne ho parlato anche al sindaco Veltroni che si è detto interessato".

Veltroni incrocia spesso la sua vita. Non fu lui a chiederle pubblicamente scusa molti anni fa?

"Sì, fu grande. Scrisse un articolo di fondo su 'l'Unità' in cui diceva più o meno: 'Forse ci siamo sbagliati su Baglioni, forse quelli come lui che non alzano la voce, che non stanno davanti ai cortei con i megafoni, non sono diversi da noi'".

Sentiva di meritare quelle scuse?

"Sì, erano stati anni difficili. Non capivo il motivo per cui io, che ero sempre stato a sinistra, venissi considerato quasi un fascista. A scuola facevo addirittura il moderatore tra quelli del Movimento sociale e i maoisti. Finiva spesso che prendevo botte da una parte e dall'altra".

Forse quella sua canzone così leggera in quei tempi così impegnati...

"Certo, un successo come quello lascia addosso un'impronta indelebile. Ma con gli occhi di oggi posso assicurare che 'Piccolo grande amore' era musicalmente più complesso di certi testi ermetici che faccio oggi. La verità di quell'ostilità è un'altra".

Quale?

"Io non ero un figlio di papà che si poteva permettere di rompere tutto. Io ero periferico, volevo solo conquistare il centro. E questo mi rendeva diverso. In quegli anni belli ma duri, anche a sinistra non mancavano tendenze squadristiche. Oggi, nel bene e nel male, i giovani non sono più così. Glielo dice uno che ha un figlio di 22 anni".

È stato un buon padre?

"Altalenante, incapace di avere un rapporto con il bambino piccolo. Mi consolo pensando che le donne sentono il figlio carnalmente, mentre noi dobbiamo pensarlo, immaginarlo. Forse l'uomo si accorge di avere un figlio quando comincia a parlarci un po' alla pari".

Non posso lasciarla senza colmare una curiosità futile. A cosa deve il suo bell'aspetto? È vero che ha fatto un lifting?

"No e poi no. Me lo chiedono continuamente e non capisco perché".

Perché è tutto liscio, intatto, la bocca turgida.

"Credo che seguirò il consiglio di mia madre. Quando mi vede dispiaciuto per questa chiacchiera sul lifting mi dice: 'Portameli qui questi giornalisti, facciamogli vedere che pelle e che bocca ha questa tua mamma di 86 anni. Forse la faranno finita'".