3 Marzo 2004

Il popolare artista parla del rapporto fra poesia e canzone

PAROLE IN MUSICA IL SUONO DEL MISTERO

«Dylan e Simon meriterebbero un Nobel speciale»

 

di Claudio Baglioni

Non so cosa sia la poesia, né quale sia l'ingrediente miracoloso, la spezia misteriosa o il particolare – e assai raro – allineamento dei pianeti cuore-sensi-cervello capace di trasformare in poesia una parola o una nota (o il loro insieme), come anche un gesto, uno sguardo, un sorriso, un luogo dello spazio o del tempo.

Non lo so e credo che se migliaia di anni di domande non sono riusciti a partorire «La risposta», né ad avvicinarci alla soluzione, probabilmente significa che si tratta di una di quelle domande destinate a rimanere senza risposta.

Di più: una di quelle questioni il cui valore non sta nel guidarci verso una risposta, ma nel non esaurire mai la spinta interrogativa (e quindi la carica creativa) e non saziare la nostra voglia di ricerca, il nostro bisogno di capire.

Un mistero il cui fascino risiede nel rimanere tale; uno di quei viaggi il cui valore non sta nel raggiungere la mèta, ma nel viaggiare.

Il rapporto tra musica e poesia poi, è tra i più difficili da indagare.

E anche circoscrivendo il campo della riflessione a quel frammento dell'universo-musica che più frequento – la canzone popolare – non è facile dire cosa sia e cosa non sia poesia o, ancora prima, se questa forma-canzone sia mai stata (o si sia mai avvicinata alla) poesia e, se sì, per merito o colpa di chi.

Confesso di non aver mai amato quella visione (molto in voga negli anni Settanta, ma ancora oggi non completamente superata) che pretendeva di scomporre la canzone in due compartimenti stagni – testo e melodia – e di valutare le parti e non l'insieme.

Di volta in volta, si buttava dalla torre la melodia priva del sostegno di un testo sensato o un testo ricco di significato, ma colpevole di viaggiare in compagnia di una melodia fin troppo «facile».

Così come non saprei dire fino a che punto abbia senso proporre per il Nobel della letteratura autori come Bob Dylan o Paul Simon (ma la lista è molto più lunga), che meriterebbero di certo, se esistesse, quello per la canzone d'autore.

La canzone è come una moneta. Le due facce sono indissolubilmente legate l'una all'altra.

Se mai riuscissimo a separarle e a eliminarne una, non perderemmo la metà, ma l'intero valore della moneta.

Testo e musica nascono per vivere insieme e, quale che sia il destino – felice o infelice – che li lega, devono essere ascoltati e «giudicati» insieme. Anzi, per l'insieme che generano.

Divenendo canzone infatti, testo e musica perdono la loro identità originaria.

Abbandonano la «famiglia di provenienza» e assumono una nuova natura per cogliere il valore della quale non è possibile utilizzare le categorie con le quali si valutavano parole e note nella loro vita precedente.

Nuova identità e nuovo senso, e non è raro il caso nel quale parole e note che, separatamente, faticherebbero a interessare e appassionare, riescono, viceversa, a suscitare emozioni tra le più intense che l'uomo riconosca.

Non ha quindi molto senso stabilire il «peso» di una canzone (o la sua «poeticità») attribuendo un valore al testo e uno alla melodia per poi calcolarne «l'area», guidati magari da quello stesso spirito di geometria che ispirava l'illuminato preside del college de «L'attimo fuggente».

Non «le migliori parole, nel loro ordine migliore» adagiate sulla melodia migliore dunque, ma la migliore fusione tra melodia e testo.

Fusione di metro, di verso, di lessico, di senso, di «suono».

Anche qui, pur condividendo i principali elementi strutturali, poesia e musica differiscono profondamente, come piatti diversi costruiti intorno ai medesimi ingredienti, essenzialmente per il fatto che diverse sono la loro natura e la loro funzione, come diversi i colori nei quali la loro luce si scompone attraversando il prisma della coscienza dell'uomo.

Non lo so cosa sia la poesia – scrivevo all'inizio – ma so cosa sarebbe la vita senza poesia, ridotta alla meccanica che unisce tendini, muscoli, ossa, cuore, nervi e polmoni.

Amo la poesia – qualunque sia la forma che sceglie per manifestarsi – perché credo che sia, per la vita, ciò che l'anima è per il corpo: i «21 grammi» che danno senso al resto.

A tutto il resto, anche se, a volte, ho la tentazione di pensare che per lei valga la differenza che c'è tra stelle e costellazioni: le stelle esistono di per sé, le costellazioni soltanto negli occhi dell'uomo.

Quali che siano le cose, musica e poesia condividono, se non altro, il fatto di rappresentare uno tra i più affascinanti (e insondabili) misteri che legano, come poche altre cose, altri due misteri (altrettanto insondabili e affascinanti): l'uomo che dona e quello che riceve poesia.

E tanto ci deve bastare.